Antropologia
Ama
Da più di 2000 anni in Giappone esistono le sirene. Sono le "Ama" ovvero: le donne del mare. Sull’isola di Honshū le ama si dedicano alla pesca di alghe, polpi, abaloni, ostriche e soprattutto alla ricerca di perle. Il modo in cui si immergono ha dell’incredibile. Dopo aver preparato i polmoni con ispirazioni profonde di circa 5 o 10 secondi, effettuano un’ultima respirazione senza riempire completamente i polmoni. Si immergono senza attrezzatura, quindi sprovviste anche di bombole per l’ossigeno, e riescono a raggiungere in questo modo una profondità di 30 metri circa. Spesso per riuscire a scendere tanto, aumentano il loro peso portando una zavorra di 10/15 kg e restano in apnea fino a 20 minuti.Affascinanti e misteriose, vivono la vita seguendo i ritmi del mare.
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La Voce delle Onde e’ il canto del mare. E’ l’Oceano Pacifico, che con increspatura costante simula il respiro di un sonno addormentato. E’ il mare in tempesta, che grida la passione amorosa di un ragazzo. E’ il canto della natura, che intona deliziose armonie. E’ una distesa infinita che nutre i pescatori, il bianco boccheggiare delle onde come l’oro del grano mosso dal vento. E’ un fondale ricco di ostriche, che offre alle donne tuffatrici piccoli gioielli di perla, come i frutti della terra per l’agricoltore.
Uta-Jima e’ una minuscola isola giapponese nel Pacifico. L’unica attivita’ e’ la pesca ed i grattacieli, i cinematografi, le rotaie di Tokjo sono cose di un altro mondo. Qui la gente e’ semplice, si nutre e commercia i frutti del mare. Vive in piccole casupole. Non si chiudono le porte a chiave a Uta–Jima, non ci sono ladri in questa piccola comunita’. Donne pescatrici di perle che si radunano davanti ad un falo’ per riscaldarsi. Uomini di mare induriti dal sole e dalla salsedine, ma con il cuore lucido di onore. Ragazzi che si incontrano la sera al lume delle lampade di carta, per leggere o chiacchierare. E una bella storia d’amore, baci di alghe e sale in un tempio sulla vetta della montagna. Y. Mishima, La voce delle onde |
Duende
Tu hai voce, conosci gli stili, ma non avrai successo perché non hai duende [...] Tutto ciò che ha suoni neri ha duende [...] Quei suoni neri sono il mistero, le radici che affondano nel limo che tutti conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da cui scaturisce ciò che è sostanziale nell’arte. Potere misterioso che tutti avvertono e che nessun filosofo spiega [...] Il duende non si ripete mai, così come non si ripetono le forme del mare in tempesta [...] Il duende sale su da dentro, dalla pianta dei piedi [...] Ma dov’è il duende? Attraverso l’arco vuoto entra nella brezza mentale che soffia con insistenza sulle teste dei morti, in cerca di nuovi paesaggi e accenti ignorati, una brezza che profuma di saliva di bambino, di erba calpestata e velo di medusa, che annuncia il battesimo costante delle cose appena nate.
Federico Garcia Lorca, Gioco e teoria del duende
Federico Garcia Lorca, Gioco e teoria del duende
Penso che il flamenco e il jazz siano i cuori di due fratelli per il modo in cui usano l' espressione . Il flamenco, inoltre, si sta aprendo sempre di più, diventando amico della ricerca e dello studio e avvicinandosi a un suono che è più familiare al mondo della musica in generale. Prima era molto più lontano dal resto della musica e oggi è ai margini del jazz e di altri campi musicali. Ora è più libero, anche se credo ancora che il mondo del flamenco sia meno libero di quello del jazz . Il tradizionalismo ancora pesa su di noi.
Enrique Morente
Enrique Morente
La chitarra di Federico Garcia Lorca
Incomincia il pianto
della chitarra.
Si rompono le coppe
dell’alba.
Incomincia il pianto
della chitarra.
È inutile
farla tacere.
È impossibile
farla tacere.
Piange monotona
come piange l’acqua,
come piange il vento
sulla neve.
È impossibile
farla tacere.
Piange per cose
lontane.
Arena del caldo Meridione
che chiede camelie bianche.
Piange freccia senza bersaglio
la sera senza domani
e il primo uccello morto
sul ramo.
Oh, chitarra,
cuore trafitto
da cinque spade.
della chitarra.
Si rompono le coppe
dell’alba.
Incomincia il pianto
della chitarra.
È inutile
farla tacere.
È impossibile
farla tacere.
Piange monotona
come piange l’acqua,
come piange il vento
sulla neve.
È impossibile
farla tacere.
Piange per cose
lontane.
Arena del caldo Meridione
che chiede camelie bianche.
Piange freccia senza bersaglio
la sera senza domani
e il primo uccello morto
sul ramo.
Oh, chitarra,
cuore trafitto
da cinque spade.
Danza nel giardino della Petenera di Federico Garcia Lorca
Nella notte del giardino,
sei gitane,
vestite di bianco
ballano.
Nella notte del giardino,
incoronate,
con rose di carta
e visnaghe.
Nella notte del giardino,
i denti perlacei
scrivono l’ombra
bruciata.
E nella notte del giardino,
le loro ombre si allungano,
e raggiungono il cielo
violacee.
sei gitane,
vestite di bianco
ballano.
Nella notte del giardino,
incoronate,
con rose di carta
e visnaghe.
Nella notte del giardino,
i denti perlacei
scrivono l’ombra
bruciata.
E nella notte del giardino,
le loro ombre si allungano,
e raggiungono il cielo
violacee.
Arte
Il tuffatore
La tomba del Tuffatore è l'unica testimonianza di pittura greca, figurativa e non vascolare nota. Le pareti del manufatto e la stessa lastra di copertura sono interamente lavorate con la tecnica dell'affresco. La tomba del Tuffatore fu rinvenuta il 3 giugno del 1968 a Paestum. La tomba del Tuffatore fu portata alla luce nel corso di sistematiche campagne di scavo condotte da Mario Napoli, a partire dal 1967, volte ad indagare le necropoli. Tutta la superficie della tomba è decorata con scene tipiche dell'epoca, ma ciò che maggiormente colpisce è la scena del tuffo sulla lastra di copertura, altra peculiarità del ritrovamento risiede nel fatto che la pittura sia rivolta all'interno della tomba, per omaggiare gli occhi del morto.
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Belkis Ayón
A Cuba (Abakua), questa Società è sorta di rinascita negli anni '30 del XIX secolo, con obiettivi e condizioni molto diversi da quelli dei suoi antenati africani. Ci sono persone che sentono il bisogno di credere in qualcosa, che è inerente alla vita umana.
"Per essere un uomo, non devi essere Abakuá ma, per essere Abakuá devi essere un uomo." "C'erano donne nel Calabar che giocavano con gli uomini in loro potere (...) e quando iniziarono le cerimonie, nascoste tra i cespugli, in una grotta vicino a una laguna, gli uomini rubarono loro il loro segreto ..." "Ekue odia le femmine. Il segreto è assolutamente degli uomini ... ”
Quando si tratta di questo argomento, sconosciuto e ermetico per molti, poiché non è così popolare come altre componenti dei valori della cultura cubana poiché si occupa di alcuni aspetti non ancora chiari, il mio scopo prima di tutto, è rendere la mia visione dal punto di partenza delle sue complicate memorie segrete, piene di immaginazione religiosa, presentando, in modo sintetico, l'aspetto estetico visivo e l'aspetto poetico che ho scoperto in Abakuá (…) Le origini di questa società segreta si trovano molto indietro nel tempo, in formazioni economico-sociali molto primitive in cui l'uomo ha affrontato innumerevoli volte l'ignoto, sempre alla ricerca di una risposta soddisfacente ai fenomeni naturali e sociali che lo circondavano. Pertanto, nelle mie incisioni troverete infiniti aspetti coincidenti con il fatto culturale in sé, verificabili sia nell'area delle idee che nei riferimenti visivi.
Belkis Ayón, confessioni, 1991
"Per essere un uomo, non devi essere Abakuá ma, per essere Abakuá devi essere un uomo." "C'erano donne nel Calabar che giocavano con gli uomini in loro potere (...) e quando iniziarono le cerimonie, nascoste tra i cespugli, in una grotta vicino a una laguna, gli uomini rubarono loro il loro segreto ..." "Ekue odia le femmine. Il segreto è assolutamente degli uomini ... ”
Quando si tratta di questo argomento, sconosciuto e ermetico per molti, poiché non è così popolare come altre componenti dei valori della cultura cubana poiché si occupa di alcuni aspetti non ancora chiari, il mio scopo prima di tutto, è rendere la mia visione dal punto di partenza delle sue complicate memorie segrete, piene di immaginazione religiosa, presentando, in modo sintetico, l'aspetto estetico visivo e l'aspetto poetico che ho scoperto in Abakuá (…) Le origini di questa società segreta si trovano molto indietro nel tempo, in formazioni economico-sociali molto primitive in cui l'uomo ha affrontato innumerevoli volte l'ignoto, sempre alla ricerca di una risposta soddisfacente ai fenomeni naturali e sociali che lo circondavano. Pertanto, nelle mie incisioni troverete infiniti aspetti coincidenti con il fatto culturale in sé, verificabili sia nell'area delle idee che nei riferimenti visivi.
Belkis Ayón, confessioni, 1991
Architetture
La grande moschea di Djenné
La moschea di Djenné in Mali, il più grande edificio al mondo in adobe (un impasto di argilla, sabbia e paglia). Si trova nel centro della città di Djenné e con tutta la città è dal 1988 Patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO. Un primo edificio adibito a moschea venne costruito nella piana alluvionale del fiume Bani, in un luogo precedentemente occupato da un palazzo. La costruzione fu ordinata nel 1240 da Koi Kunboro, prima che Djenné divenisse una delle principali città dell'impero del Mali. La moschea originale ospitava uno dei centri di insegnamento islamico più importanti dell'Africa durante tutto il Medioevo. Il conquistatore di Djenné, Amadou Lobbo la fece demolire, ritenendo che il palazzo dal quale era stata ricavata fosse troppo ricco per ospitare una moschea: dell'edificio originario demolito resta solamente un recinto con le tombe dei capi locali. Una ricostruzione identica dell'originale edificio venne completata nel 1896 e fu in seguito nuovamente demolita per essere ancora ricostruita con l'edificio attuale. L'edificio fu più volte distrutto e ricostruito. L'attuale edificio fu nel 1909.
Tutta la comunità prende parte attiva alla manutenzione della moschea, nel quadro delle festività annuali, i lavori sono condotti con metodi tradizionali e al suono della musica. Questa manutenzione regolare è resa necessaria dalle caratteristiche di fragilità del materiale utilizzato per la costruzione, che subisce una forte erosione per l'azione combinata della pioggia, dell'irraggiamento solare e dei cambiamenti di temperatura, che provocano spaccature.
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Nei giorni che precedono le feste, viene preparata una grande quantità di rivestimento, con diverse giornate di lavoro: questo intonaco pastoso deve essere periodicamente mescolato, compito svolto dai bambini che vi giocano dentro. Quindi i giovani si arrampicano sulle pareti della moschea, aiutati dai ponteggi permanenti costituiti dai fasci di rami di palma inseriti nel muro, e procedono a coprire completamente i muri con un nuovo strato di materiale di rivestimento, che viene loro portato da altri uomini. Le donne portano l'acqua necessaria alla fabbricazione dell'intonaco o per gli uomini che lavorano. Tutto il procedimento è diretto dai membri eminenti della corporazione dei muratori, mentre gli anziani, che essi stessi hanno compiuto in passato la medesima opera, sono seduti al posto d'onore e assistono all'intera operazione.
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Bet Giorgis
La chiesa di San Giorgio è una delle undici chiese monolitiche di Lalibela , in Etiopia,La città fu chiamata Lalibela in onore del re Gebre Mesqel Lalibela che ne commissionò la costruzione. È considerato un santo dalla chiesa ortodossa etiope Tewahedo . La chiesa di San Giorgio è stata scolpita nel tufo, unico materiale di costruzione. Lalibela, re d'Etiopia, cercò di ricreare la città di Gerusalemme strutturando tali siti religiosi così come nella città santa. Le chiese di Lalibela sono divise in due gruppi, uno che rappresenta la Gerusalemme terrena e l'altro rappresenta la Gerusalemme celeste. Sono collegate da cunicoli che rappresentano il fiume Giordano. Gli etiopi lo chiamano il passaggio dell'inferno e raccontano che, pur essendo buio e angusto, lo si deve percorrere privi di illuminazione, così, piano piano, i viaggiatori si addentrano facendo attenzione alle pareti laterali e al basso soffitto, fino a quando, dopo una ventina di metri circa, non si vede la luce.
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I pellegrini che sono morti dopo aver raggiunto il sito sono collocati in tombe poste sulle pareti esterne della chiesa. La tradizione vuole che proprio San Giorgio, patrono dell’Etiopia, sia apparso al re Lalibela. Il Santo si lamentò del fatto che “nemmeno una delle chiese gli era stata dedicata”, ottenendo le scuse del re che promise di erigere in suo onore “la chiesa più bella di tutte”: la chiesa di Bet Giyorgis. Ancora oggi i monaci mostrano ai visitatori le impronte degli zoccoli del cavallo del Santo.
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Church of the Light
Church of the Light è la cappella principale della Ibaraki Kasugaoka Church, una chiesa membro della United Church of Christ in Giappone . Fu costruito nel 1989, nella città di Ibaraki , nella prefettura di Osaka . Questo edificio è uno dei progetti più famosi dell'architetto giapponese Tadao Ando. La chiesa ha circa le stesse dimensioni di una piccola casa. Fu progettata come aggiunta alla cappella di legno e alla casa del ministro che già esisteva nel sito. La Chiesa della Luce è composta da tre cubi di cemento penetrati da un muro inclinato a 15 °, che divide il cubo nella cappella e nella zona d'ingresso.
Tadao Ando usa spesso filosofie Zen quando concettualizza le sue strutture. Un tema che esprime in questo lavoro è la duplice natura dell'esistenza. Lo spazio della cappella è definito dalla luce, entrando da dietro l'altare da una croce tagliata nel muro di cemento che si estende verticalmente dal pavimento al soffitto e orizzontalmente da una parete all'altra, allineandosi perfettamente con i giunti nel calcestruzzo. A questa intersezione di luce e solido, l'occupante dovrebbe prendere coscienza della profonda divisione tra spirituale e secolare dentro se stesso.
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Una caratteristica degli interni è il suo profondo vuoto. Molti che entrano in chiesa dicono di trovarla inquietante. Lo spazio vuoto distinto e la quiete assoluta equivalgono a un senso di serenità. Per Ando l'idea di "vuoto" significa qualcosa di diverso. Ha lo scopo di trasferire qualcuno nel regno dello spirituale. Il vuoto ha lo scopo di invadere l'occupante, quindi c'è spazio per lo spirituale di pervaderlo.
Biografie
Michelina Di Cesare
Michelina Di Cesare nasce a Caspoli nel 1841 e muore Mignano Monte Lungo il 1868. E' stata una brigante italiana nata nell'allora Regno delle due Sicilie e morta nel nascente Regno d'Italia. Nata poverissima nella Terra di Lavoro, ebbe un'infanzia disagiata. Insieme al fratello Michelina si rese protagonista sin da piccola di piccoli furti. Nel 1862 conobbe Francesco Guerra, ex soldato borbonico e disertore verso l'esercito italiano, il quale si aggregò alla banda di Rafaniello, fino a diventarne capo. Michelina ne divenne la donna. Ciò di cui si ha maggiore certezza è che Michelina possedesse ruolo attivo nella banda. Nel 1868 fu inviato il generale Emilio Pallavicini di Priola con pieni poteri per dare una stretta decisiva alla lotta contro il brigantaggio. All'azione armata il Pallavicini aggiunse ricompense per le delazioni delle spiate, e fu proprio una spia che fece sorprendere nel sonno Michelina e il suo uomo. La donna venne prima ferita dal medico del Battaglione mentre tentava di fuggire, per poi essere finita da un gruppo di soldati.I loro corpi, messi a nudo, furono esposti nella piazza centrale di Mignano a monito della popolazione locale.
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Michelina fece largo uso della fotografia per propaganda ideologica, facendosi ritrarre in costume tradizionale da contadina del luogo, armata di fucile e pistola. Il fotografo forse fu a servizio dei Borbone. Vestita di un costume impeccabile, come quello indossato nei giorni di festa dalle contadine, Michelina De Cesare, fu fotografata probabilmente in un atelier di Roma nel 1865. Tuttavia le immagini che fecero scalpore furono quelle della propaganda sabauda. La guerra al brigantaggio fu infatti condotta anche con i media, facendo un uso capillare ed esteso della fotografia, che in quegli anni conosceva le sue prime diffusioni su larga scala. I fotografi al seguito delle truppe unitarie venivano chiamati sul posto della cattura o a seguito dell'uccisione di briganti. Michelina De Cesare, uccisa, venne denudata insieme ai compagni uccisi con lei e fotografata. Dalle immagini appare profondamente sfigurata, tumefatta, come se avesse subito percosse, tali da aver generato l'opinione che fosse morta sotto tortura.
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"Erano le 10 di sera, pioveva a dirotto ed un violentissimo temporale accompagnato da forte vento, da tuoni e lampi, favoriva maggiormente l'operazione, permettendo ai soldati di potersi avvicinare inosservati al luogo sospetto; da qualche tempo si stavano perlustrando quei luoghi accidentati e malagevoli perché coperti da strade infossate, burroni ed altri incagli naturali, già si perdeva la speranza di rinvenire i briganti, quando alla guida (Giovanni De Cesare, cugino di Michelina) venne in mente di avvicinarsi a talune querce che egli sapeva alquanto incavate, ed entro le quali poteva benissimo nascondersi una persona". Dopo aver scorto due briganti appoggiati agli alberi secolari, il capitano Cazzaniga si gettò all'attacco: "Afferratone uno pel collo, lo stramazza al suolo e con lui addiviene ad una lotta a corpo a corpo, finché venne dato ad un soldato di appuntare il suo fucile contro il brigante e di renderlo cadavere...Quel brigante fu subito riconosciuto pel capobanda Francesco Guerra, ed il compagno che con lui s'intratteneva, appena visto l'attaccò, tentò di fuggire; una fucilata sparatagli dietro dal medico di Battaglione Pizzorno lo feriva, ma non al punto di farlo cadere, che continuando invece la sua fuga, s'imbatteva poi in altri soldati per opera dei quali venne freddato. Esaminatone il corpo, fu riconosciuto per donna e quindi per Michelina De Cesare druda del Guerra"
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Testi
L'impossibilità di cogliere una vibrazione funebre nell'eternità. La vita di Dio è morte nella creatura, non solitudine con lui, ma in lui. Per lui , l’unione tra solitudine umana e il deserto infinito di Dio è una delizia inesprimibile, annunciatrice della loro identificazione totale. che ne è del mistico nella sua avventura divina, che cosa fa in Dio? Non lo sappiamo, dato che è incapace di dircelo. Se esistesse un accesso diretto all’esultanza in Dio – senza le parole che precedono l’estasi – la vita soprannaturale sarebbe alla portata di tutti. Ma poiché tale accesso non esiste, siamo condannati a salire una scala senza mai raggiungere l’ultimo gradino. Accanto alla solitudine in Dio propriamente detta, ne esiste un’altra, che in fondo è soltanto un isolarsi in lui: la sensazione di essere soli e derelitti in un paesaggio desolato, la certezza di non essere in casa propria all’interno della Divinità.
E.M. Cioran, Lacrime e santi |
Abbiamo visto i danzatori [...] Come danzatori, immaginati due individui abbastanza brutti, ma incantevoli nella corruzione, nella degradazione intenzionale degli sguardi e della femminilità dei movimenti, con gli occhi pitturati di antimonio e vestiti da donne. Come abiti pantaloni larghi e una giacca ricamata, mentre i pantaloni trattenuti da un enorme cinta ripiegata più volte, cominciavano all’incirca al pube, di modo che tutto il ventre, le reni e l’inizio delle natiche sono a nudo, attraverso un velo nero incollato alla pelle. A ogni movenza che fanno, quel velo si increspa sui fianchi come un onda tenebrosa e trasparente. La musica va sempre allo stesso ritmo, senza mai fermarsi, per due ore. Il flauto è stridente, i tamburelli ti risuonano nel petto, il cantante domina tutto. I danzatori passano e tornano, camminano dimenando il bacino con un movimento breve e convulso. E’ un trillo di muscoli (l’unica espressione che sia giusta). Quando dimenano il bacino, tutto il resto del corpo è immobile. Se invece agitano il petto, tutto il resto non si muove. Avanzano così verso di te a braccia e suonando le nacchere di rame, e il viso, sotto il trucco e il sudore, rimane più inespressivo di quello di una statua. Con questo voglio dire che non sorridono mai. L’effetto risulta dalla gravità della faccia in contrasto con le movenza lascive del corpo. talvolta si rovesciano completamente con la schiena per terra, come una donna che si stende per farsi scopare, e si alzano con un movimento delle reni simile a quello di un albero che si raddrizza quando il vento è passato. – Nei saluti e negli inchini i grandi pantaloni si gonfiano di colpo come palle ovali, poi sembrano afflosciarsi riversando tutta l’aria che li dilata [...] E’ troppo bello per essere eccitante. Dubito che le donne possano eguagliare gli uomini. La bruttezza di questi accresce di molto l’arte. G. Floubert, Cinque lettere dall’ Egitto |
“Non toccarmi, non trattenermi, non cercare di tenermi ne trattenermi, rinuncia a qualunque contatto, non pensare a una qualche familiarità o sicurezza. Non credere che ci sia alcuna assicurazione, come quella che vorrà Tommaso. Non credere, in nessun modo. Ma resta salda in questa non-credenza. Resta fedele. Resta fedele alla mia partenza. Resta fedele a ciò che sono, resta della mia partenza: il tuo nome che io pronuncio. Nel tuo nome non c’è nulla da afferrare o di cui appropriarti, ma c’è questo, che ti è rivolto da oltre l’immemoriale e fino all’intangibile, dal fondo senza fondo sempre in atto di partire”. Due corpi, uno di gloria e l’altro di carne, si distinguono in questa partenza e si appartengono l’un l’altro. La morte è il levarsi sono la stessa cosa - (la cosa), l’innominabile - e non sono la stessa cosa perché non vi è qui medesimezza. Ciò che accade al corpo, al mondo in generale, quando si esce dal mondo degli dei, è un’alterazione del mondo, Là dove c’era uno stesso mondo per gli dei, gli uomini e la natura, c’è ora un’eternità che attraversa il mondo da parte a parte , un’infinita separazione del finito – una separazione del finito a opera dell’infinito. La possibilità di decadimento della carne le è data dalla possibilità della gloria. Prima che sopraggiunga una morale a mortificare la carne, è piuttosto la divisione da se stessa istituita nella carne a rendere possibile l’invenzione di una siffatta morale. Questa divisione – peccato e salvezza- proviene appunto non da altro se non dalla cancellazione delle presenze divine che assicuravano l’unità omogenea nel mondo. Jean Luc Nancy, Noli me tangere |